PREFAZIONE DI CLAUDIO BRACHINO

Igor il russo, Igor il killer, Igor l’imprendibile.
Al di là dei nomi reali e delle burocrazie, sarà Igor il segno mediatico di questa storia. Lo sarà in un capitolo inquietante di quella che potremo definire l’antologia del Male contemporaneo. Sul piano della metafora narrativa Igor è sicuramente il simbolo del Male. Il numero delle vittime e dei feriti tra l’Italia e la Spagna, l’assenza di qualsiasi forma di valori vagamente umani, l’assenza di ogni forma di pietas, hanno fatto di quest’ uomo dalle molte personalità e dai molti travestimenti, una sorta di materializzazione dei nostri incubi.

Molto si è detto e molto si è scritto su questa vicenda che ha tenuto in sospeso l’Italia per un lungo periodo con una caccia all’uomo che ha visto impegnate al massimo le nostre forze dell’ordine con i loro migliori uomini, ma in questo libro è interessante il punto di vista, lo sguardo della cronaca. Una giovane giornalista, inviata di un programma popolare, racconta giorno dopo giorno questa sfida che poi si concluderà in una sorta di tempo drammatico rimandato, in Spagna.

Il culmine di tutta la storia si racchiude in pochi mesi tra la primavera e l’autunno del 2017, la cronista è Cristina Battista, il programma Pomeriggio5, che fa parte della testata Videonews che io dirigo. La visuale è quella di chi, pur con il rigore della cronaca giudiziaria, racconta le persone, le vittime, i familiari delle vittime, i feriti, gli scampati. E lo racconta con il pathos di chi guarda con la pietas che non ha mai avuto il killer, tutte le tragedie, le intersecazioni del destino, la linea d’ombra fra la vita e la morte che questo film dell’orrore si è lasciato dietro.

Ma la Battista racconta di più, racconta i luoghi, i paesaggi, le atmosfere. Racconta un pezzo dell’Italia che non fa da sfondo ad un romanzo di nera, ma è essa stessa parte della storia. Quell’Italia già descritta dagli autori importanti della nostra letteratura, quel luogo tra Ferrara e l’Adriatico, lungo il corso del Po, che è diventato alternativamente il simbolo di un paese ancora atavico e nello stesso tempo il simbolo di una Natura che sfugge ad ogni controllo tecnologico.

Ci sono state molte polemiche sul fatto che più di mille uomini, circondando questo territorio insieme reale e virtuale, non siano riusciti a catturare Igor.
Una sconfitta investigativa che non ha dato subito la giustizia che le vittime meritavano e nello stesso tempo ha cristallizzato quasi una forma di impotenza di fronte ad un male sempre più abile, sempre più diabolico, sempre più sfuggente.

La Natura è diventata, involontariamente, la complice del carnefice.
Nell’epoca della globalizzazione, della connessione tecnologica perenne, della tracciabilità che sconfina nella violazione della privacy, un singolo uomo è sempre riuscito a mimetizzarsi nelle cose intorno. Una sorta di bandito antico, che elude anche le più sofisticate forme di controllo. Un uomo che non ha paura della fame e della sete, un uomo che non sente la fatica, che non ha paura del freddo, del fango, degli elementi. Anzi li usa a suo favore per colpire ogni volta in modo spietato. Però guai a farne un eroe, guai a farne, come sempre accade nelle ossessioni giornalistiche, un punto di interesse spropositato rispetto all’etica delle vittime.

La vittima rimane sempre al centro del mio discorso professionale,e questo lo si ritrova anche nello sguardo della nostra cronista. Poche indulgenze alle fascinazioni inconsce, alle pigrizie dei reportage quotidiani, invece molta attenzione ai fatti raccontati con asciuttezza, ma soprattutto, ripeto, rispetto emotivo per l’immenso coacervo drammaturgico di storie che Igor si è lasciato dietro.

Su un piano un pò più didascalico e concreto, dopo l’epilogo drammatico di questa vicenda (al netto di quella che sarà l’evoluzione processuale tra Italia e Spagna), abbiamo scoperto dopo la cattura che Igor in realtà non era un bandito ottocentesco che aveva dribblato i suoi cacciatori. Igor ha avuto una rete di complicità molto forte in Italia, in Europa e particolarmente nella Penisola Iberica. Queste complicità risalgono a forme di criminalità organizzata che forse andavano non solo individuate ma anche represse in tempo. Quel tempo che come in una lunga sfida avrebbe impedito vittime innocenti. Rileggere tutti questi fatti ci servirà a capire e nello stesso tempo a fare esperienza degli errori, perché in un mondo sempre più popolato da predatori, possiamo e dobbiamo salvare le vittime potenziali che alla fine siamo tutti noi.

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